Lo
schermo del suo portatile segnava le 04:38 del mattino. I piatti da lavare
erano abbandonati nel lavello, la gatta dormiva pacifica sul divano e il
televisore muto trasmetteva repliche di un talk show.
Era
una notte fredda di fine gennaio e Giorgio non riusciva a dormire. Dopo aver
controllato mille volte la posta e aver navigato a vuoto su internet, si era
ritrovato ancora una volta a cercarla su Google. Si sentiva un quindicenne, uno
sfigato di prima categoria. Era più forte di lui. Non avere più sue notizie lo
faceva impazzire.
Un
anno dopo l’abbandono era ancora così disperato che avrebbe chiesto sue notizie
anche ai sassi se solo avesse avuto la speranza di ottenere una qualunque
risposta.
Lei
non lo aveva solo lasciato, era letteralmente scomparsa. Aveva cambiato lavoro,
abitudini, persino numero di cellulare.
Milano
non era poi una città così grande eppure sembrava averla inghiottita. O forse
era solo nascosta nella nebbia, tenuta al riparo fino al primo sole di
primavera.
Si
era ritrovato a digitare il suo nome e cognome nel motore di ricerca come aveva
già fatto mille volte senza ottenere alcun risultato.
E
invece, all’improvviso, eccola lì in una foto che la ritraeva in un posto che
lui non riusciva ad identificare, forse un luogo di villeggiatura, sorridente
in un giorno d’estate con il viso semi nascosto da un cappello di paglia a
falda larga.
Indossava
un abitino a fiori che lui conosceva bene. Era ancor più bella di quanto
ricordasse.
Odiava
i social network e lo stupì il fatto che improvvisamente lei avesse deciso di
iscriversi. Fino a qualche tempo prima avrebbe giurato che non era affatto una
cosa da lei. Eppure eccola lì che gli sorrideva dietro quell’enorme cappello.
Per cercare di avere qualche informazione in più avrebbe dovuto iscriversi a
sua volta e chiedere “l’amicizia” sperando poi di ottenerla. Grottesco. Era a
dir poco grottesco chiedere l’amicizia ad una che era voluta uscire in maniera
così prepotente dalla sua vita. Senza una spiegazione, senza una ragione
plausibile.
Quella
mattina di un anno prima si era svegliato allungando il braccio per cercarla e
aveva sentito il letto vuoto, freddo. Aveva aperto gli occhi e al posto di
Laura c’era solo un biglietto: “Mi dispiace, ti prego non cercarmi. Se puoi
prenditi cura di Princess”.
Aveva
sentito il cuore accelerare i battiti mentre cercava di mettere a fuoco quel
messaggio striminzito. Si era alzato per andare a cercarla in cucina
inciampando su se stesso mentre chiamava il suo nome con la voce che gli moriva
in gola. Ovviamente lei non era in cucina seduta a sorseggiare il suo caffè e
non era nemmeno sotto la doccia cantando a squarciagola.
In
quella casa improvvisamente vuota c’era solo Princess, che si strofinava addosso alle sue caviglie
sperando di ottenere del cibo.
Non
si erano mai amati particolarmente lui e quella gatta colore della neve. Aveva
sempre pensato che avesse uno sguardo inquietante, indagatore. Ma Laura l’amava
come una figlia e per amore suo aveva sopportato la sua presenza in casa. Del
resto quando lei aveva acconsentito ad andare a vivere insieme, era cosi felice
che avrebbe accettato persino la presenza di un pachiderma.
Vivere
con Laura era stato il periodo più bello della sua vita. Lui che prima di
conoscerla si era sempre vantato di essere un uomo libero, che aveva sempre
detto “l’amore è bello ma poi ognuno a casa sua”, si era ritrovato ad
implorarla di vivere insieme. Perché Laura non era una qualunque. Lei era una
donna capace di riempire la vita, illuminava una stanza solo con il suo
sorriso. Era un vulcano di allegria e parole masticate in fretta e un abisso d’interminabili
silenzi. Vivere con lei era come vivere su una montagna russa.
Il
giorno che lei se n’era andata, la montagna russa non si era fermata.
Semplicemente era precipitata giù dal suo punto più alto.
Lo
schianto era stato devastante.
Richiuse
il laptop con uno scatto. Non aveva nessuna intenzione di correrle dietro.
Tornò
con la mente a quella notte di Febbraio di un anno prima, quando preso dalla
disperazione, restò seduto sui gradini della casa della sorella di Laura.
Era
un sabato e Chiara non era in casa quando lui andò a cercarla. Quando lei non aprì la porta pensò che, come
d’abitudine, doveva essere uscita con i suoi amici e sarebbe rientrata
all’alba. Milano era stretta in una morsa di gelo eppure lui non riuscì a
trovare la forza di andarsene. Si sedette su un gradino davanti al portone e
restò ad aspettarla per ore. L’aspettò così a lungo da non sentire più neanche
il freddo che ormai si era impadronito delle sue ossa.
Alle
6.00, Chiara lo trovò rannicchiato nel suo cappotto, la testa fra le ginocchia,
tremante come una foglia.
“Giorgio?” – lo chiamò stupita.
“Giorgio?” – lo chiamò stupita.
Lui
alzò il volto guardandola con i suoi enormi occhi neri affogati d’angoscia.
“Chiara”
– mormorò – “ti aspettavo”
“Da
quanto tempo sei qui?”
“Dalle
undici credo”
“Dalle
undici? Giorgio sono le sei del mattino! Dio devi essere congelato”
“non
lo so, non sento niente”
“vieni
dentro.”
Lo
prese delicatamente per un braccio e lo fece entrare in casa. Il tepore dell’appartamento
lo avvolse come un abbraccio mentre lei mise a scaldare l’acqua per un te.
Si
accomodarono sul divano in silenzio.
“vuoi
toglierti il cappotto?”
“dimmi
dov’è.”
“Giorgio..”
“Chiara ti supplico. Dimmi dov’è. Sto impazzendo”
Lacrime
calde gli bagnavano il viso mentre tremante teneva tra le mani la tazza
bollente che Chiara gli aveva portato. Restò così, fissando il pavimento,
nell’attesa che lei dicesse qualcosa. Ma Chiara non disse niente. Si limitava a guardarlo con compassione.
“Dimmi
dov’è” – la supplicò.
“non
posso”
“sì
che puoi”
No,
non posso. Ho promesso di non dirtelo.”
“Ma
perché? Dio, si può sapere perché tanto mistero? E’ per qualcosa che ho fatto?
Si era stancata di me e non sapeva come dirmelo? Chiara io sto impazzendo”
Chiara gli tolse la tazza dalle mani, l’appoggiò sul tavolino e poi lo strinse a sé
abbracciandolo forte cercando di placare il suo pianto dirotto.
“Mi
dispiace da morire Giorgio. Ti voglio bene, lo sai. Mi stringe il cuore vederti
così, ma è mia sorella. Le ho dato la mia parola.”
“Dimmi
perché, dimmi perché…” –singhiozzò
“Non
lo so. Davvero non lo so. Lei ti amava, era felice con te. Era la prima volta
che la vedevo tanto felice. Ma un giorno è venuta da me e mi ha detto che stava
andando via. Che si sarebbe fatta viva lei e che non dovevo dirti nulla. Non
voleva essere cercata da nessuno, neanche da te. E’ tutto quello che so.”
Giorgio
si staccò dall’abbraccio e la guardò dritta negli occhi con la speranza di
carpire nel suo sguardo qualche informazione in più, ma gli occhi di Chiara
erano indecifrabili.
“Cosa
dovrei fare secondo te? Devo rassegnarmi? Devo fingere che lei non ci sia mai
stata? Cosa devo fare?”
“Credo
dovresti provare ad andare avanti. Pensa che è finita e cerca di voltare
pagina.”
“Non
posso.”
“Sì
che puoi. Sei un bell’uomo, in gamba, non ti sarà difficile trovare qualcuno.”
“Io
voglio lei. Solo lei.”
“Lei
se n’è andata Giorgio. Non puoi farci niente.”
“Voglio
che me lo dica guardandomi in faccia. Non puoi far l’amore con me, nel nostro
letto, e lasciarmi con uno striminzito biglietto il mattino dopo. E’ roba da
far diventare matto chiunque. Cosa le ho fatto per meritare tanta cattiveria?”
“Tu
non le hai fatto nulla di male. Te l’ho detto, con te era felice. Ti amava e si
sentiva amata. Non faceva altro che parlarmi di te e di quanto straordinario
fossi. La sua partenza ha lasciato basita anche me. Non ha voluto spiegarmi, ma
ho capito guardandola negli occhi che il motivo della sua fuga non eri tu.
C’era qualcosa nel suo sguardo quella mattina.. non saprei spiegartelo. Non so
cosa fosse, ma so che non si trattava di te.”
Giorgio
se ne andò senza dire una parola.
Chiara
divenne con il passare dei mesi il suo punto di riferimento. Erano sempre stati
in buoni rapporti ma la scomparsa di Laura li avvicinò ancora di più.
Si
aggrappò a lei come l’ultima speranza. Anche se non voleva mai affrontare
l’argomento era consapevole che lei sentisse la sorella e quindi starle accanto
era un po’ come avere ancora Laura con sé. Le due sorelle erano il giorno e la
notte. Laura aveva lunghi capelli neri e gli occhi blu come il mare in
tempesta. Chiara portava i suoi capelli biondi cortissimi e aveva gli occhi
bruni di suo padre. Laura era un vulcano. Chiara era pacata, tranquilla.
Negli
ultimi 12 mesi avevano passato insieme molte serate sul divano a parlare.
Giorgio
in realtà si limitava ad ascoltarla perché tutto ciò di cui avrebbe voluto
parlare era solo Laura. Così l’ascoltava mentre gli parlava del proprio lavoro,
degli uomini, dei suoi sogni. Erano diventati amici intimi. Era confortante
poter contare su di lei. Poterla chiamare nel cuore della notte quando
l’angoscia gli impediva di respirare. Lei si precipitava da lui e lo cullava
tra le sue braccia fino a farlo addormentare. Puntualmente, al mattino, di lei
non c’era traccia. Solo la caffettiera pronta sul fornello.
L’orologio segnava le 06.00. Di andare a dormire non se ne parlava nemmeno. Ormai era quasi ora di prepararsi per il lavoro.
Preparò
un altro caffè maledicendo la pioggia che cominciò a cadere violenta.
Bevve
il caffè e andò a farsi una doccia. Indugiò sotto il getto bollente più del
solito con la speranza di lavare via l’ennesima notte insonne e i suoi
pensieri.
Passò
una mano sullo specchio per liberarlo del vapore e si rasò lentamente cercando
di fare ordine nella propria mente.
Non
aveva nessuna voglia di andare al lavoro, né di vestirsi. Ma il dovere veniva
prima di tutto. Il lavoro era l’unica cosa che l’aveva salvato dalla pazzia.
Solitamente
andava in ufficio in jeans ma era una giornata impegnativa fatta di riunioni e
clienti. Si rassegnò all’idea di doversi vestire elegante.
Annodando
la cravatta ricordò quanto Laura lo prendesse in giro ogni volta che lo vedeva
mettersi in tiro. Sorrise suo malgrado mentre, afferrate le chiavi, si buttò
nel traffico cittadino.
L’ufficio
dove lavorava come Marketing Manager,
appena fuori città, distava quindici minuti di macchina. Accese il motore
pregando che le strade non fossero già congestionate per via della pioggia. Non
era dell’umore giusto per una lavata di testa dal suo capo a causa del ritardo
alla riunione con gli investitori.
Entrato
nella hall trovò Giulia ad aspettarlo sorridente come di solito con un caffè in
mano.
“Buongiorno
Giorgio, ho pensato che oggi un caffè ti sarebbe servito e guardando la tua
faccia direi che non mi sono sbagliata.”
Giorgio
le sorrise prendendo il bicchiere di caffè.
“Sempre
preziosa. Sono già arrivati?”
“No,
ha chiamato poco fa Enrico dicendo che la riunione slitta di un quarto d’ora
perché è bloccato nel traffico.”
Giorgio
sospirò sollevato ed entrò in ascensore seguito dalla ragazza.
Lo
specchio rifletté impietoso la sua faccia pallida e lo sguardo segnato da
profonde occhiaie. Più che un caffè, pensò, aveva bisogno di una dormita di
dodici ore.
“Nottataccia?”
La
voce di Giulia lo scosse dai suoi pensieri.
“Non
sono andato a dormire”
“Nottata
di bagordi eh?”
“No.”
Giulia
arrossì violentemente e sibilò:
“Scusa.”
“No,
scusami tu Giulia. Divento irascibile quando non dormo. E, come se non
bastasse, odio le riunioni di lunedì mattina.”
Giulia
sorrise timidamente camminandogli accanto verso la sala riunioni.
Lavoravano
insieme da due anni. Era una neolaureata di ventiquattro anni, brillante e
capace. Giorgio le ripeteva spesso che senza di lei sarebbe stato perso. Lo
aiutava in tutto e per tutto e sospettava da tempo che dietro tanta dedizione
ci fosse un interesse che andava al di là del lavoro e della volontà di
imparare ma non voleva approfondire. Era una ragazza troppo bella e in gamba,
non voleva complicazioni né tanto meno rovinare la loro collaborazione.
“Ho
preparato tutto il materiale sul tavolo, il tuo computer è acceso così come il
proiettore. Dovrebbe essere tutto pronto.”
Giorgio
sorrise.
“Sei
eccezionale Giulia.”
“Faccio
del mio meglio”- rispose lei sorridendo mentre le guance si coloravano del
stesso rosso dei ricci ribelli che le ricadevano sulle spalle.
Si
sedette accanto a lui accavallando con grazia le gambe fasciate dalla gonna
nera che le lasciava scoperto il ginocchio rotondo.
Giorgio,
ancora una volta, si sorprese ad ammirare la sua inconsapevole bellezza.
Osservò le caviglie sottili coperte dalle calze nere, la sua vita stretta, il
seno generoso che sembrava soffrire costretto dalla camicetta bianca appena
sbottonata e il suo viso etereo costellato di lentiggini che sembravano tante
piccole stelle messe lì a sottolineare i suoi grandi occhi verdi. Era bella da
togliere il fiato, pensò. Giulia doveva essersi accorta del suo sguardo perché
cominciò a mordicchiarsi nervosamente le labbra.
Giorgio
si schiarì la voce cercando qualcosa da dire, ma in quel momento la porta si
aprì ed entrò il suo capo seguito dagli investitori.
Durante
l’ora che seguì, s’impegnò con tutto se stesso per portare avanti la sua
presentazione senza pensare ai suoi problemi, né alla strana sensazione alla
bocca dello stomaco che le provocava la vicinanza di Giulia.
Al
termine della riunione, il suo capo si congratulò con lui per l’esposizione
brillante e gli tirò una frecciatina sulla sua faccia da reduce di una notte
brava. Giorgio incassò sorridendo. Preferiva di gran lunga che gli altri
pensassero che se la fosse spassata con qualche bella donna piuttosto che
ammettere lo squallore della propria vita solitaria.
Tornando
verso la scrivania Giulia gli propose di fumare una sigaretta. Presero un caffè
all’area relax e si diressero verso la panchina posta nella zona fumatori
riparata da una tettoia.
Giorgio
aspirò avidamente una boccata guardando la pioggia che non accennava a smettere
mentre Giulia l’osservava di sottecchi sospirando ripetutamente.
Si
voltò a guardarla e le chiese:
“C’è
qualcosa che ti preoccupa? Ti vedo distante oggi”
“Niente
di così grave”
“Andiamo
Giulia, ci conosciamo da due anni ormai. Puoi sfogarti liberamente con me.”
“Si
tratta di un uomo”
“Ah
bene. Sentiamo, chi è costui?”
“E’
un uomo di trent’anni. E’ bellissimo. Alto, capelli neri, occhioni neri,
carnagione scura. E poi è intelligente, brillante, simpatico. Ce l’ho in testa
da un bel po’ ormai.”
Giorgio
deglutì pensando che la descrizione fisica era fin troppo somigliante a se
stesso ma si censurò per la superbia di quel pensiero e lasciò che continuasse.
“Fino
ad un po’ di tempo fa sapevo che aveva una ragazza ma penso che si siano
lasciati da un po’.”
“E
non ti sei fatta avanti?”
“No.
Non credo di avere nessuna speranza. Neanche mi vede”
“Trovo
difficile crederlo. Sei una bella ragazza e sei in gamba. Credo ci sia la fila
fuori dalla tua porta”
Giulia
sorrise imbarazzata e, raccolto il coraggio, lo guardò dritto negli occhi dicendo
tutto d’un fiato:
“Allora
esci con me?”
Giorgio
spalancò gli occhi e distolse istintivamente lo sguardo. Non sapeva cosa dire.
Giulia era bellissima ma il suo cuore era ancora una ferita aperta. Non poteva
uscire con lei. Sarebbe stato un disastro e l’avrebbe ferita inutilmente.
“Giulia
io… non so cosa dire.”
“Puoi dire di sì. E’ facile. Una parola di una sola sillaba”
“Puoi dire di sì. E’ facile. Una parola di una sola sillaba”
“Non
posso. Mi dispiace.”
“Non
vuoi.”
“Non
è questione di volontà. E’ che proprio non posso. Credimi è meglio per
entrambi.”
Si
alzò frettolosamente e rientrò in tutta fretta lasciandola sola ai suoi
pensieri.
Tornò
in ufficio scosso e per tutto il giorno non le rivolse la parola. Che cosa
avrebbe potuto dirle? Avevano un rapporto di conoscenza cordiale ma non le
aveva mai parlato del suo privato. Discorsi in generale su politica, gusto
musicale e quant’altro ma nulla di personale. Quando Laura lo lasciò non disse
nulla. Non una parola con nessuno. Giulia doveva aver capito con il tempo che
era tornato single ma non aveva intenzione di dire nulla. Per assurdo un po’ se
ne vergognava. Provava vergogna per essere stato abbandonato così su due piedi.
E si vergognava persino di provare vergogna.
Di
parlarne con lei era fuori discussione. Era una faccenda troppo dolorosa e
privata. Preferiva passare per stronzo che dover subire lo sguardo pietoso di
una donna che pensa “povero cucciolo”.
Quando
arrivò il momento di andare via la salutò freddamente e si diresse verso
l’ascensore. Giulia afferrò in fretta e furia la borsa e si precipitò dietro di
lui raggiungendolo poco prima che le porte dell’ascensore si chiudessero.
“Che
succede ora?”
Giorgio
la guardò perplesso “non capisco”
“Sì,
che cosa succede? Hai intenzione di ignorarmi solo perché ho avuto l’ardire di
chiederti un appuntamento?”.
“Non
dire sciocchezze. Mi hai solo colto alla sprovvista tutto qui. Domani questa
conversazione sarà dimenticata e torneremo alla normalità”.
L’ascensore
si aprì nel parcheggio sotterraneo e Giorgio le lanciò un saluto sottovoce
dirigendosi verso la propria auto. Con suo stupore, Giulia lo seguì senza dire
una parola. Giunti di fronte all’auto si decise a chiederle se aveva bisogno di
qualcosa.
“Sì”-
rispose lei timidamente “è tardi, ho perso l’ultimo autobus. Puoi darmi un
passaggio?”
Giorgio
si limitò ad annuire. Aveva scoperto solo qualche mese prima che abitavano
proprio nella stessa via e non gli venne in mente nessuna scusa plausibile per
rifiutare.
Aveva
finalmente smesso di piovere ma il traffico dell’ora di punta era estremamente
lento.
Giorgio
guidava guardando fisso di fronte a sé cercando invano qualcosa da dire. Si
ritrovò a pensare a quanto amava il silenzio con Laura. A volte capitava di
fare lunghi tratti di strada assorti nel più totale mutismo. E in quel silenzio
ci sguazzava felice. Era carico di complicità. In macchina con Giulia, invece,
il silenzio era fuorviero di tensione e imbarazzo.
“Non
te l’ho mai detto ma è da un anno a questa parte che mi sembri davvero triste.
Te lo leggo negli occhi ogni mattina. Tante volte avrei voluto dirti qualcosa,
chiederti come stai, ma mi sono sempre trattenuta perché ti sei costruito
intorno un muro invalicabile e so per certo che non mi lascerai entrare mai.”
Giorgio
si voltò a guardarla di scatto con la tentazione di urlare di farsi i fatti propri
ma si limitò a tacere. Si sentiva in bilico tra la voglia di sfogarsi e quella
di farla scendere immediatamente dall’auto.
“So
che non sono fatti miei” – continuò – “però se vuoi sono qui, puoi parlare con
me.”
“Non c’è nulla da dire Giulia. Assolutamente nulla. Si, è vero, non sto più insieme alla mia ragazza. Ma non c’è niente da dire. La gente si lascia continuamente, no?”
“Non c’è nulla da dire Giulia. Assolutamente nulla. Si, è vero, non sto più insieme alla mia ragazza. Ma non c’è niente da dire. La gente si lascia continuamente, no?”
“Mi
dispiace”
“Non
c’è nulla di cui dispiacersi.”
“Non
venire fin sotto casa mia. Puoi parcheggiare da te, poi farò un pezzo di strada
a piedi.”
“Non
c’è problema, posso portarti fino a casa. Sono solo pochi metri.”
“Appunto,
posso farli a piedi. Parcheggia da te.”
Giorgio
annuì e parcheggiò proprio davanti al suo portone.
“Allora
a domani, grazie per il passaggio.”
“Figurati.
Giulia…”
“Sì?”
“Scusami.”
“Di
cosa?”
“Sono
stato un orso, mi dispiace. Ho un caratteraccio.”
“Non
hai nulla di cui scusarti. Grazie ancora.”
Avvicinandosi
a lui per salutarlo, Giulia posò quasi distrattamente una mano su quella di
Giorgio mollemente appoggiata su una gamba. Il contatto con la sua pelle gli
diede una stilettata allo stomaco. Non capì se era dovuto alla lunga astinenza cui
si era costretto dopo la partenza di Laura oppure se dipendeva dalla sua
bellezza quasi insolente. Quando lei si sporse verso il suo viso per sfiorarlo
con le labbra, mettendo in mostra il pizzo nero del suo reggiseno attraverso la
scollatura della camicetta, Giorgio sentì il sangue andargli al cervello.
Socchiuse le labbra per accogliere la bocca morbida di Giulia e si abbandonò a
un bacio che fece cadere tutte le sue difese.
Si
baciarono per un tempo indefinito mentre con le mani le accarezzava la schiena
e l’attirava a sé facendo aderire
perfettamente i loro corpi. Avrebbe fatto l’amore con lei in quell’auto
malamente parcheggiata sotto casa illuminata dalla luce del lampione, tanto era
la sua urgenza. Con l’ultimo barlume di lucidità riuscì a staccarsi un istante
per mormorarle in un orecchio “Sali da me?”
Senza
dire una parola Giulia aprì la portiera e si diresse verso il portone. Trovare
la chiave giusta si rivelò un’impresa. Le mani gli tremavano dall’eccitazione mentre
Giulia, appoggiata a lui, continuava a baciargli il collo.
“Se
continui così non entreremo mai” – gli disse con un filo di voce.
Fecero
i due piani di scale correndo come ragazzini e, giunti sul pianerottolo,
Giorgio la fece appoggiare alla porta baciandola avidamente e faticando non
poco per infilare la chiave nella toppa.
Una
volta in casa fece per spogliarla all’ingresso ma Giulia lo fermò.
“No.
Non così. Andiamo di là.”
In
tutta risposta, l’afferrò per mano e la condusse in camera. In piedi di fronte
al letto, il suo cuore perse un colpo. Guardò quel letto dove aveva dormito per
due anni con Laura e che, nell’ultimo anno, era diventato tristemente ampio. Un
tempio che nessuna aveva potuto profanare.
Giulia
appoggiò un dito sul suo mento costringendolo delicatamente a guardarla.
“Spogliami
Giorgio.”
La
sensualità che quella ragazza sprigionava anche solo guardandolo, fece cadere
le ultime resistenze.
Si
chinò su di lei per baciarla mentre a fatica cominciò ad aprirle i bottoni
della camicetta lasciandola in reggiseno. Con piglio deciso tirò giù anche la
lampo della sua gonna che cadde a terra con un fruscio. Si staccò un istante
per guardarla alla luce della finestra. Il nero della lingerie metteva in
risalto il bianco lunare della sua pelle morbida.
“Sei
bella da togliere il fiato.”
Giulia
sorrise abbassando lo sguardo e lo liberò dalla cravatta mentre lentamente
cominciava a sbottonargli la camicia.
La
lentezza studiata dei suoi movimenti cominciò a somigliare ad una tortura. La
sua eccitazione era tale che avrebbe voluto strapparle via quel pizzo che
ancora copriva quei pochi centimetri di pelle ma si costrinse a calibrare i
suoi movimenti e a soffocare la propria irruenza.
Delicatamente
le sganciò il reggiseno baciando lentamente la pelle del collo e scendendo con
le labbra al suo seno turgido dall’eccitazione.
A
Giulia scappò un gemito mentre a fatica lo liberava degli ultimi indumenti.
Si
guardarono un istante nudi uno di fronte all’altro, poi Giorgio la baciò ancora
e la sollevò per poi farla stendere sul letto.
In
un istante le fu sopra baciando ogni centimetro della sua pelle. Il suo profumo
aspro gli riempì le narici andando dritto al cervello.
La
pelle di Giulia bruciava sotto le sue dita e lui non riuscì ad
aspettare un istante di più. Le loro lingue s’attorcigliarono mentre lui entrava
delicatamente in lei cominciando a muoversi in una danza lenta e armoniosa che
li portò insieme al piacere.
Un
respiro rantolò fuori dalla sua gola mentre a fatica si staccò da lei.
L’appagamento
dell’eccitazione lasciò un retrogusto amaro fermo alla bocca dello stomaco
mentre la sentì stringersi al suo petto.
Quando
la scarica dell’orgasmo si placò, non poté fare a meno di maledirsi per quello
che era appena successo.
Come
poteva dirle che doveva andarsene? Come poteva dirle che la sua presenza ora gli
dava fastidio e che era stata solo uno sfogo dei suoi bassi istinti?
Un
anno senza avere rapporti con nessuna e ora si era cacciato in un guaio simile
proprio con una collega. Pensò che avrebbe potuto vincere l’oscar per la
stupidità.
Il
brontolio del suo stomaco ruppe il silenzio.
“Qualcuno
qui ha fame!” – esclamò Giulia ridendo.
“Qualcuno
qui ha saltato la cena.” – ribatté lui sforzandosi di sorridere.
“Ordiniamo
una pizza o vuoi che ti cucini qualcosa?” – mentre lo diceva Giulia si era già
alzata e si era infilata la camicia di Giorgio che fino ad un attimo prima giaceva abbandonata a terra.
Giorgio
non rispose. La guardava pensando che era dannatamente bella non potendo fare a
meno di ricordare quando era Laura ad infilarsi una sua camicia o un suo maglione
per andare in cucina a spadellare dopo aver fatto l’amore. Aveva una gran
voglia di strappargliela di dosso e di gridarle di andare via.
“Oppure
preferisci che io me ne vada?”
Giorgio
si scosse dai suoi pensieri e la guardò con gli occhi spalancati di un bambino
colto con le mani nella marmellata.
“Ok,
ricevuto. Vado un momento in bagno poi vado a casa mia.”
Giorgio
la guardò chiudersi in bagno senza trovare nulla da dire. Voleva solo che se ne
andasse e si sentiva un verme per questo. Quella ragazza così bella e
appassionata aveva visto in lui forse qualcuno da incontrare dopo il lavoro,
qualcuno con cui andare a cena e fuori città i week end. Qualcuno da amare. Ma
non lo conosceva, non sapeva nulla di lui. Non sapeva che lui aveva amato così
tanto che ora non aveva più niente da dare. Anche a rivoltarsi il cuore come un
calzino, era impossibile trovare anche solo una piccola traccia di tutto
l’amore che aveva dato e perso un anno prima.
Si
alzò faticosamente dal letto e infilò un paio di jeans pigramente buttati su
una sedia. Arrivò davanti alla porta del bagno frugando dentro se stesso nella
vana speranza di trovare qualcosa di intelligente da dire, qualcosa che potesse
farla stare meglio. Qualcosa che avrebbe fatto stare meglio se stesso, che l’avrebbe
fatto sentire un po’ meno in colpa, ma non trovò nulla. Nella sua testa sentiva
solo una voce che urlava “idiota” così forte da mettere a tacere qualsiasi
altro pensiero.
Fece
per bussare alla porta ma proprio in quel momento Giulia uscì dal bagno sorprendendolo
con il pugno a mezz’aria.
Si
guardarono un istante senza dire nulla. I capelli arruffati di lei e il trucco
scolato la rendevano ancora più bella e fragile. Sembrava una creatura smarrita
finita nella casa dell’orco e Giorgio senti lo stomaco stringersi al pensiero
che quell’orco era lui.
Raccolse
il coraggio per parlare e sottovoce le disse solo
“mi
dispiace, non devi andare via così”
Lo
sguardo fiero e arrossato che lei gli restituì fu come uno schiaffo in pieno
viso.
“So
capire quando è il momento di andarsene. Non devi scusarti. Siamo due persone
adulte che hanno scopato. Sai che novità. Non preoccuparti, domani sarà
dimenticato. Ora ti prego, fammi passare.”
Detto
questo lo allontanò con un braccio, uscì dal bagno e raccolte le sue cose
chiuse la porta di casa alle sue spalle.
Giorgio
si sedette per terra con lo sguardo fisso sulla porta e la testa tra le mani e
improvvisamente sentì che aveva bisogno di Chiara. Lei l’avrebbe sicuramente
insultato ma non gli importava, aveva bisogno di lei.
Si
alzò di scatto e corse in camera. Infilò una felpa e le sue scarpe da tennis
consumate. Raccolse da terra il suo cappotto, lo indossò e si ributtò per
strada sorprendendosi a correre verso casa di lei, come se vederla fosse
un’urgenza impellente.