domenica 17 novembre 2013


Lo schermo del suo portatile segnava le 04:38 del mattino. I piatti da lavare erano abbandonati nel lavello, la gatta dormiva pacifica sul divano e il televisore muto trasmetteva repliche di un talk show.
Era una notte fredda di fine gennaio e Giorgio non riusciva a dormire. Dopo aver controllato mille volte la posta e aver navigato a vuoto su internet, si era ritrovato ancora una volta a cercarla su Google. Si sentiva un quindicenne, uno sfigato di prima categoria. Era più forte di lui. Non avere più sue notizie lo faceva impazzire.
Un anno dopo l’abbandono era ancora così disperato che avrebbe chiesto sue notizie anche ai sassi se solo avesse avuto la speranza di ottenere una qualunque risposta.
Lei non lo aveva solo lasciato, era letteralmente scomparsa. Aveva cambiato lavoro, abitudini, persino numero di cellulare.
Milano non era poi una città così grande eppure sembrava averla inghiottita. O forse era solo nascosta nella nebbia, tenuta al riparo fino al primo sole di primavera.
Si era ritrovato a digitare il suo nome e cognome nel motore di ricerca come aveva già fatto mille volte senza ottenere alcun risultato.
E invece, all’improvviso, eccola lì in una foto che la ritraeva in un posto che lui non riusciva ad identificare, forse un luogo di villeggiatura, sorridente in un giorno d’estate con il viso semi nascosto da un cappello di paglia a falda larga.
Indossava un abitino a fiori che lui conosceva bene. Era ancor più bella di quanto ricordasse.
Odiava i social network e lo stupì il fatto che improvvisamente lei avesse deciso di iscriversi. Fino a qualche tempo prima avrebbe giurato che non era affatto una cosa da lei. Eppure eccola lì che gli sorrideva dietro quell’enorme cappello. Per cercare di avere qualche informazione in più avrebbe dovuto iscriversi a sua volta e chiedere “l’amicizia” sperando poi di ottenerla. Grottesco. Era a dir poco grottesco chiedere l’amicizia ad una che era voluta uscire in maniera così prepotente dalla sua vita. Senza una spiegazione, senza una ragione plausibile.
Quella mattina di un anno prima si era svegliato allungando il braccio per cercarla e aveva sentito il letto vuoto, freddo. Aveva aperto gli occhi e al posto di Laura c’era solo un biglietto: “Mi dispiace, ti prego non cercarmi. Se puoi prenditi cura di Princess”.
Aveva sentito il cuore accelerare i battiti mentre cercava di mettere a fuoco quel messaggio striminzito. Si era alzato per andare a cercarla in cucina inciampando su se stesso mentre chiamava il suo nome con la voce che gli moriva in gola. Ovviamente lei non era in cucina seduta a sorseggiare il suo caffè e non era nemmeno sotto la doccia cantando a squarciagola.
In quella casa improvvisamente vuota c’era solo Princess, che si strofinava addosso alle sue caviglie sperando di ottenere del cibo.
Non si erano mai amati particolarmente lui e quella gatta colore della neve. Aveva sempre pensato che avesse uno sguardo inquietante, indagatore. Ma Laura l’amava come una figlia e per amore suo aveva sopportato la sua presenza in casa. Del resto quando lei aveva acconsentito ad andare a vivere insieme, era cosi felice che avrebbe accettato persino la presenza di un pachiderma.
Vivere con Laura era stato il periodo più bello della sua vita. Lui che prima di conoscerla si era sempre vantato di essere un uomo libero, che aveva sempre detto “l’amore è bello ma poi ognuno a casa sua”, si era ritrovato ad implorarla di vivere insieme. Perché Laura non era una qualunque. Lei era una donna capace di riempire la vita, illuminava una stanza solo con il suo sorriso. Era un vulcano di allegria e parole masticate in fretta e un abisso d’interminabili silenzi. Vivere con lei era come vivere su una montagna russa.
Il giorno che lei se n’era andata, la montagna russa non si era fermata. Semplicemente era precipitata giù dal suo punto più alto.
Lo schianto era stato devastante.
Richiuse il laptop con uno scatto. Non aveva nessuna intenzione di correrle dietro.
Tornò con la mente a quella notte di Febbraio di un anno prima, quando preso dalla disperazione, restò seduto sui gradini della casa della sorella di Laura.
Era un sabato e Chiara non era in casa quando lui andò a cercarla.  Quando lei non aprì la porta pensò che, come d’abitudine, doveva essere uscita con i suoi amici e sarebbe rientrata all’alba. Milano era stretta in una morsa di gelo eppure lui non riuscì a trovare la forza di andarsene. Si sedette su un gradino davanti al portone e restò ad aspettarla per ore. L’aspettò così a lungo da non sentire più neanche il freddo che ormai si era impadronito delle sue ossa.
Alle 6.00, Chiara lo trovò rannicchiato nel suo cappotto, la testa fra le ginocchia, tremante come una foglia.
“Giorgio?” – lo chiamò stupita.
Lui alzò il volto guardandola con i suoi enormi occhi neri affogati d’angoscia.
“Chiara” – mormorò – “ti aspettavo”
“Da quanto tempo sei qui?”
“Dalle undici credo”
“Dalle undici? Giorgio sono le sei del mattino! Dio devi essere congelato”
“non lo so, non sento niente”
“vieni dentro.”
Lo prese delicatamente per un braccio e lo fece entrare in casa. Il tepore dell’appartamento lo avvolse come un abbraccio mentre lei mise a scaldare l’acqua per un te.
Si accomodarono sul divano in silenzio.
“vuoi toglierti il cappotto?”
“dimmi dov’è.”
“Giorgio..”
“Chiara ti supplico. Dimmi dov’è. Sto impazzendo”
Lacrime calde gli bagnavano il viso mentre tremante teneva tra le mani la tazza bollente che Chiara gli aveva portato. Restò così, fissando il pavimento, nell’attesa che lei dicesse qualcosa. Ma Chiara non disse niente. Si limitava a guardarlo con compassione.
“Dimmi dov’è” – la supplicò.
“non posso”
“sì che puoi”
No, non posso. Ho promesso di non dirtelo.”
“Ma perché? Dio, si può sapere perché tanto mistero? E’ per qualcosa che ho fatto? Si era stancata di me e non sapeva come dirmelo? Chiara io sto impazzendo”
Chiara gli tolse la tazza dalle mani, l’appoggiò sul tavolino e poi lo strinse a sé abbracciandolo forte cercando di placare il suo pianto dirotto.
“Mi dispiace da morire Giorgio. Ti voglio bene, lo sai. Mi stringe il cuore vederti così, ma è mia sorella. Le ho dato la mia parola.”
“Dimmi perché, dimmi perché…” –singhiozzò
“Non lo so. Davvero non lo so. Lei ti amava, era felice con te. Era la prima volta che la vedevo tanto felice. Ma un giorno è venuta da me e mi ha detto che stava andando via. Che si sarebbe fatta viva lei e che non dovevo dirti nulla. Non voleva essere cercata da nessuno, neanche da te. E’ tutto quello che so.”
Giorgio si staccò dall’abbraccio e la guardò dritta negli occhi con la speranza di carpire nel suo sguardo qualche informazione in più, ma gli occhi di Chiara erano indecifrabili.
“Cosa dovrei fare secondo te? Devo rassegnarmi? Devo fingere che lei non ci sia mai stata? Cosa devo fare?”
“Credo dovresti provare ad andare avanti. Pensa che è finita e cerca di voltare pagina.”
“Non posso.”
“Sì che puoi. Sei un bell’uomo, in gamba, non ti sarà difficile trovare qualcuno.”
“Io voglio lei. Solo lei.”
“Lei se n’è andata Giorgio. Non puoi farci niente.”
“Voglio che me lo dica guardandomi in faccia. Non puoi far l’amore con me, nel nostro letto, e lasciarmi con uno striminzito biglietto il mattino dopo. E’ roba da far diventare matto chiunque. Cosa le ho fatto per meritare tanta cattiveria?”
“Tu non le hai fatto nulla di male. Te l’ho detto, con te era felice. Ti amava e si sentiva amata. Non faceva altro che parlarmi di te e di quanto straordinario fossi. La sua partenza ha lasciato basita anche me. Non ha voluto spiegarmi, ma ho capito guardandola negli occhi che il motivo della sua fuga non eri tu. C’era qualcosa nel suo sguardo quella mattina.. non saprei spiegartelo. Non so cosa fosse, ma so che non si trattava di te.”

Giorgio se ne andò senza dire una parola.
Chiara divenne con il passare dei mesi il suo punto di riferimento. Erano sempre stati in buoni rapporti ma la scomparsa di Laura li avvicinò ancora di più.
Si aggrappò a lei come l’ultima speranza. Anche se non voleva mai affrontare l’argomento era consapevole che lei sentisse la sorella e quindi starle accanto era un po’ come avere ancora Laura con sé. Le due sorelle erano il giorno e la notte. Laura aveva lunghi capelli neri e gli occhi blu come il mare in tempesta. Chiara portava i suoi capelli biondi cortissimi e aveva gli occhi bruni di suo padre. Laura era un vulcano. Chiara era pacata, tranquilla.
Negli ultimi 12 mesi avevano passato insieme molte serate sul divano a parlare.
Giorgio in realtà si limitava ad ascoltarla perché tutto ciò di cui avrebbe voluto parlare era solo Laura. Così l’ascoltava mentre gli parlava del proprio lavoro, degli uomini, dei suoi sogni. Erano diventati amici intimi. Era confortante poter contare su di lei. Poterla chiamare nel cuore della notte quando l’angoscia gli impediva di respirare. Lei si precipitava da lui e lo cullava tra le sue braccia fino a farlo addormentare. Puntualmente, al mattino, di lei non c’era traccia. Solo la caffettiera pronta sul fornello.

L’orologio segnava le 06.00. Di andare a dormire non se ne parlava nemmeno. Ormai era quasi ora di prepararsi per il lavoro.
Preparò un altro caffè maledicendo la pioggia che cominciò a cadere violenta.
Bevve il caffè e andò a farsi una doccia. Indugiò sotto il getto bollente più del solito con la speranza di lavare via l’ennesima notte insonne e i suoi pensieri.
Passò una mano sullo specchio per liberarlo del vapore e si rasò lentamente cercando di fare ordine nella propria mente.
Non aveva nessuna voglia di andare al lavoro, né di vestirsi. Ma il dovere veniva prima di tutto. Il lavoro era l’unica cosa che l’aveva salvato dalla pazzia.
Solitamente andava in ufficio in jeans ma era una giornata impegnativa fatta di riunioni e clienti. Si rassegnò all’idea di doversi vestire elegante.
Annodando la cravatta ricordò quanto Laura lo prendesse in giro ogni volta che lo vedeva mettersi in tiro. Sorrise suo malgrado mentre, afferrate le chiavi, si buttò nel traffico cittadino.

L’ufficio dove lavorava come  Marketing Manager, appena fuori città, distava quindici minuti di macchina. Accese il motore pregando che le strade non fossero già congestionate per via della pioggia. Non era dell’umore giusto per una lavata di testa dal suo capo a causa del ritardo alla riunione con gli investitori.
Entrato nella hall trovò Giulia ad aspettarlo sorridente come di solito con un caffè in mano.

“Buongiorno Giorgio, ho pensato che oggi un caffè ti sarebbe servito e guardando la tua faccia direi che non mi sono sbagliata.”
Giorgio le sorrise prendendo il bicchiere di caffè.
“Sempre preziosa. Sono già arrivati?”
“No, ha chiamato poco fa Enrico dicendo che la riunione slitta di un quarto d’ora perché è bloccato nel traffico.”
Giorgio sospirò sollevato ed entrò in ascensore seguito dalla ragazza.
Lo specchio rifletté impietoso la sua faccia pallida e lo sguardo segnato da profonde occhiaie. Più che un caffè, pensò, aveva bisogno di una dormita di dodici ore.
“Nottataccia?”
La voce di Giulia lo scosse dai suoi pensieri.
“Non sono andato a dormire”
“Nottata di bagordi eh?”
“No.”
Giulia arrossì violentemente e sibilò:
“Scusa.”
“No, scusami tu Giulia. Divento irascibile quando non dormo. E, come se non bastasse, odio le riunioni di lunedì mattina.”
Giulia sorrise timidamente camminandogli accanto verso la sala riunioni.
Lavoravano insieme da due anni. Era una neolaureata di ventiquattro anni, brillante e capace. Giorgio le ripeteva spesso che senza di lei sarebbe stato perso. Lo aiutava in tutto e per tutto e sospettava da tempo che dietro tanta dedizione ci fosse un interesse che andava al di là del lavoro e della volontà di imparare ma non voleva approfondire. Era una ragazza troppo bella e in gamba, non voleva complicazioni né tanto meno rovinare la loro collaborazione.

“Ho preparato tutto il materiale sul tavolo, il tuo computer è acceso così come il proiettore. Dovrebbe essere tutto pronto.”
Giorgio sorrise.
“Sei eccezionale Giulia.”
“Faccio del mio meglio”- rispose lei sorridendo mentre le guance si coloravano del stesso rosso dei ricci ribelli che le ricadevano sulle spalle.
Si sedette accanto a lui accavallando con grazia le gambe fasciate dalla gonna nera che le lasciava scoperto il ginocchio rotondo.
Giorgio, ancora una volta, si sorprese ad ammirare la sua inconsapevole bellezza. Osservò le caviglie sottili coperte dalle calze nere, la sua vita stretta, il seno generoso che sembrava soffrire costretto dalla camicetta bianca appena sbottonata e il suo viso etereo costellato di lentiggini che sembravano tante piccole stelle messe lì a sottolineare i suoi grandi occhi verdi. Era bella da togliere il fiato, pensò. Giulia doveva essersi accorta del suo sguardo perché cominciò a mordicchiarsi nervosamente le labbra.
Giorgio si schiarì la voce cercando qualcosa da dire, ma in quel momento la porta si aprì ed entrò il suo capo seguito dagli investitori.
Durante l’ora che seguì, s’impegnò con tutto se stesso per portare avanti la sua presentazione senza pensare ai suoi problemi, né alla strana sensazione alla bocca dello stomaco che le provocava la vicinanza di Giulia.
Al termine della riunione, il suo capo si congratulò con lui per l’esposizione brillante e gli tirò una frecciatina sulla sua faccia da reduce di una notte brava. Giorgio incassò sorridendo. Preferiva di gran lunga che gli altri pensassero che se la fosse spassata con qualche bella donna piuttosto che ammettere lo squallore della propria vita solitaria.
Tornando verso la scrivania Giulia gli propose di fumare una sigaretta. Presero un caffè all’area relax e si diressero verso la panchina posta nella zona fumatori riparata da una tettoia.
Giorgio aspirò avidamente una boccata guardando la pioggia che non accennava a smettere mentre Giulia l’osservava di sottecchi sospirando ripetutamente.
Si voltò a guardarla e le chiese:
“C’è qualcosa che ti preoccupa? Ti vedo distante oggi”
“Niente di così grave”
“Andiamo Giulia, ci conosciamo da due anni ormai. Puoi sfogarti liberamente con me.”
“Si tratta di un uomo”
“Ah bene. Sentiamo, chi è costui?”
“E’ un uomo di trent’anni. E’ bellissimo. Alto, capelli neri, occhioni neri, carnagione scura. E poi è intelligente, brillante, simpatico. Ce l’ho in testa da un bel po’ ormai.”
Giorgio deglutì pensando che la descrizione fisica era fin troppo somigliante a se stesso ma si censurò per la superbia di quel pensiero e lasciò che continuasse.
“Fino ad un po’ di tempo fa sapevo che aveva una ragazza ma penso che si siano lasciati da un po’.”
“E non ti sei fatta avanti?”
“No. Non credo di avere nessuna speranza. Neanche mi vede”
“Trovo difficile crederlo. Sei una bella ragazza e sei in gamba. Credo ci sia la fila fuori dalla tua porta”
Giulia sorrise imbarazzata e, raccolto il coraggio, lo guardò dritto negli occhi dicendo tutto d’un fiato:
“Allora esci con me?”
Giorgio spalancò gli occhi e distolse istintivamente lo sguardo. Non sapeva cosa dire. Giulia era bellissima ma il suo cuore era ancora una ferita aperta. Non poteva uscire con lei. Sarebbe stato un disastro e l’avrebbe ferita inutilmente.
“Giulia io… non so cosa dire.”
“Puoi dire di sì. E’ facile. Una parola di una sola sillaba”
“Non posso. Mi dispiace.”
“Non vuoi.”
“Non è questione di volontà. E’ che proprio non posso. Credimi è meglio per entrambi.”
Si alzò frettolosamente e rientrò in tutta fretta lasciandola sola ai suoi pensieri.
Tornò in ufficio scosso e per tutto il giorno non le rivolse la parola. Che cosa avrebbe potuto dirle? Avevano un rapporto di conoscenza cordiale ma non le aveva mai parlato del suo privato. Discorsi in generale su politica, gusto musicale e quant’altro ma nulla di personale. Quando Laura lo lasciò non disse nulla. Non una parola con nessuno. Giulia doveva aver capito con il tempo che era tornato single ma non aveva intenzione di dire nulla. Per assurdo un po’ se ne vergognava. Provava vergogna per essere stato abbandonato così su due piedi. E si vergognava persino di provare vergogna.
Di parlarne con lei era fuori discussione. Era una faccenda troppo dolorosa e privata. Preferiva passare per stronzo che dover subire lo sguardo pietoso di una donna che pensa “povero cucciolo”.
Quando arrivò il momento di andare via la salutò freddamente e si diresse verso l’ascensore. Giulia afferrò in fretta e furia la borsa e si precipitò dietro di lui raggiungendolo poco prima che le porte dell’ascensore si chiudessero.
“Che succede ora?”
Giorgio la guardò perplesso “non capisco”
“Sì, che cosa succede? Hai intenzione di ignorarmi solo perché ho avuto l’ardire di chiederti un appuntamento?”.
“Non dire sciocchezze. Mi hai solo colto alla sprovvista tutto qui. Domani questa conversazione sarà dimenticata e torneremo alla normalità”.
L’ascensore si aprì nel parcheggio sotterraneo e Giorgio le lanciò un saluto sottovoce dirigendosi verso la propria auto. Con suo stupore, Giulia lo seguì senza dire una parola. Giunti di fronte all’auto si decise a chiederle se aveva bisogno di qualcosa.
“Sì”- rispose lei timidamente “è tardi, ho perso l’ultimo autobus. Puoi darmi un passaggio?”
Giorgio si limitò ad annuire. Aveva scoperto solo qualche mese prima che abitavano proprio nella stessa via e non gli venne in mente nessuna scusa plausibile per rifiutare.


Aveva finalmente smesso di piovere ma il traffico dell’ora di punta era estremamente lento.
Giorgio guidava guardando fisso di fronte a sé cercando invano qualcosa da dire. Si ritrovò a pensare a quanto amava il silenzio con Laura. A volte capitava di fare lunghi tratti di strada assorti nel più totale mutismo. E in quel silenzio ci sguazzava felice. Era carico di complicità. In macchina con Giulia, invece, il silenzio era fuorviero di tensione e imbarazzo.
“Non te l’ho mai detto ma è da un anno a questa parte che mi sembri davvero triste. Te lo leggo negli occhi ogni mattina. Tante volte avrei voluto dirti qualcosa, chiederti come stai, ma mi sono sempre trattenuta perché ti sei costruito intorno un muro invalicabile e so per certo che non mi lascerai entrare mai.”
Giorgio si voltò a guardarla di scatto con la tentazione di urlare di farsi i fatti propri ma si limitò a tacere. Si sentiva in bilico tra la voglia di sfogarsi e quella di farla scendere immediatamente dall’auto.
“So che non sono fatti miei” – continuò – “però se vuoi sono qui, puoi parlare con me.”
“Non c’è nulla da dire Giulia. Assolutamente nulla. Si, è vero, non sto più insieme alla mia ragazza. Ma non c’è niente da dire. La gente si lascia continuamente, no?”
“Mi dispiace”
“Non c’è nulla di cui dispiacersi.”
“Non venire fin sotto casa mia. Puoi parcheggiare da te, poi farò un pezzo di strada a piedi.”
“Non c’è problema, posso portarti fino a casa. Sono solo pochi metri.”
“Appunto, posso farli a piedi. Parcheggia da te.”
Giorgio annuì e parcheggiò proprio davanti al suo portone.
“Allora a domani, grazie per il passaggio.”
“Figurati. Giulia…”
“Sì?”
“Scusami.”
“Di cosa?”
“Sono stato un orso, mi dispiace. Ho un caratteraccio.”
“Non hai nulla di cui scusarti. Grazie ancora.”
Avvicinandosi a lui per salutarlo, Giulia posò quasi distrattamente una mano su quella di Giorgio mollemente appoggiata su una gamba. Il contatto con la sua pelle gli diede una stilettata allo stomaco. Non capì se era dovuto alla lunga astinenza cui si era costretto dopo la partenza di Laura oppure se dipendeva dalla sua bellezza quasi insolente. Quando lei si sporse verso il suo viso per sfiorarlo con le labbra, mettendo in mostra il pizzo nero del suo reggiseno attraverso la scollatura della camicetta, Giorgio sentì il sangue andargli al cervello. Socchiuse le labbra per accogliere la bocca morbida di Giulia e si abbandonò a un bacio che fece cadere tutte le sue difese.
Si baciarono per un tempo indefinito mentre con le mani le accarezzava la schiena e l’attirava a sé  facendo aderire perfettamente i loro corpi. Avrebbe fatto l’amore con lei in quell’auto malamente parcheggiata sotto casa illuminata dalla luce del lampione, tanto era la sua urgenza. Con l’ultimo barlume di lucidità riuscì a staccarsi un istante per mormorarle in un orecchio “Sali da me?”
Senza dire una parola Giulia aprì la portiera e si diresse verso il portone. Trovare la chiave giusta si rivelò un’impresa. Le mani gli tremavano dall’eccitazione mentre Giulia, appoggiata a lui, continuava a baciargli il collo.
“Se continui così non entreremo mai” – gli disse con un filo di voce.
Fecero i due piani di scale correndo come ragazzini e, giunti sul pianerottolo, Giorgio la fece appoggiare alla porta baciandola avidamente e faticando non poco per infilare la chiave nella toppa.
Una volta in casa fece per spogliarla all’ingresso ma Giulia lo fermò.
“No. Non così. Andiamo di là.”
In tutta risposta, l’afferrò per mano e la condusse in camera. In piedi di fronte al letto, il suo cuore perse un colpo. Guardò quel letto dove aveva dormito per due anni con Laura e che, nell’ultimo anno, era diventato tristemente ampio. Un tempio che nessuna aveva potuto profanare.
Giulia appoggiò un dito sul suo mento costringendolo delicatamente a guardarla.
“Spogliami Giorgio.”
La sensualità che quella ragazza sprigionava anche solo guardandolo, fece cadere le ultime resistenze.
Si chinò su di lei per baciarla mentre a fatica cominciò ad aprirle i bottoni della camicetta lasciandola in reggiseno. Con piglio deciso tirò giù anche la lampo della sua gonna che cadde a terra con un fruscio. Si staccò un istante per guardarla alla luce della finestra. Il nero della lingerie metteva in risalto il bianco lunare della sua pelle morbida.
“Sei bella da togliere il fiato.”
Giulia sorrise abbassando lo sguardo e lo liberò dalla cravatta mentre lentamente cominciava a sbottonargli la camicia.
La lentezza studiata dei suoi movimenti cominciò a somigliare ad una tortura. La sua eccitazione era tale che avrebbe voluto strapparle via quel pizzo che ancora copriva quei pochi centimetri di pelle ma si costrinse a calibrare i suoi movimenti e a soffocare la propria irruenza.
Delicatamente le sganciò il reggiseno baciando lentamente la pelle del collo e scendendo con le labbra al suo seno turgido dall’eccitazione.
A Giulia scappò un gemito mentre a fatica lo liberava degli ultimi indumenti.
Si guardarono un istante nudi uno di fronte all’altro, poi Giorgio la baciò ancora e la sollevò per poi farla stendere sul letto.
In un istante le fu sopra baciando ogni centimetro della sua pelle. Il suo profumo aspro gli riempì le narici andando dritto al cervello.
La pelle di Giulia bruciava sotto le sue dita e lui non riuscì ad aspettare un istante di più. Le loro lingue s’attorcigliarono mentre lui entrava delicatamente in lei cominciando a muoversi in una danza lenta e armoniosa che li portò insieme al piacere.
Un respiro rantolò fuori dalla sua gola mentre a fatica si staccò da lei.
L’appagamento dell’eccitazione lasciò un retrogusto amaro fermo alla bocca dello stomaco mentre la sentì stringersi al suo petto.
Quando la scarica dell’orgasmo si placò, non poté fare a meno di maledirsi per quello che era appena successo.
Come poteva dirle che doveva andarsene? Come poteva dirle che la sua presenza ora gli dava fastidio e che era stata solo uno sfogo dei suoi bassi istinti?
Un anno senza avere rapporti con nessuna e ora si era cacciato in un guaio simile proprio con una collega. Pensò che avrebbe potuto vincere l’oscar per la stupidità.
Il brontolio del suo stomaco ruppe il silenzio.
“Qualcuno qui ha fame!” – esclamò Giulia ridendo.
“Qualcuno qui ha saltato la cena.” – ribatté lui sforzandosi di sorridere.
“Ordiniamo una pizza o vuoi che ti cucini qualcosa?” – mentre lo diceva Giulia si era già alzata e si era infilata la camicia di Giorgio che fino ad un attimo prima  giaceva abbandonata a terra.
Giorgio non rispose. La guardava pensando che era dannatamente bella non potendo fare a meno di ricordare quando era Laura ad infilarsi una sua camicia o un suo maglione per andare in cucina a spadellare dopo aver fatto l’amore. Aveva una gran voglia di strappargliela di dosso e di gridarle di andare via.
“Oppure preferisci che io me ne vada?”
Giorgio si scosse dai suoi pensieri e la guardò con gli occhi spalancati di un bambino colto con le mani nella marmellata.
“Ok, ricevuto. Vado un momento in bagno poi vado a casa mia.”
Giorgio la guardò chiudersi in bagno senza trovare nulla da dire. Voleva solo che se ne andasse e si sentiva un verme per questo. Quella ragazza così bella e appassionata aveva visto in lui forse qualcuno da incontrare dopo il lavoro, qualcuno con cui andare a cena e fuori città i week end. Qualcuno da amare. Ma non lo conosceva, non sapeva nulla di lui. Non sapeva che lui aveva amato così tanto che ora non aveva più niente da dare. Anche a rivoltarsi il cuore come un calzino, era impossibile trovare anche solo una piccola traccia di tutto l’amore che aveva dato e perso un anno prima.
Si alzò faticosamente dal letto e infilò un paio di jeans pigramente buttati su una sedia. Arrivò davanti alla porta del bagno frugando dentro se stesso nella vana speranza di trovare qualcosa di intelligente da dire, qualcosa che potesse farla stare meglio. Qualcosa che avrebbe fatto stare meglio se stesso, che l’avrebbe fatto sentire un po’ meno in colpa, ma non trovò nulla. Nella sua testa sentiva solo una voce che urlava “idiota” così forte da mettere a tacere qualsiasi altro pensiero.
Fece per bussare alla porta ma proprio in quel momento Giulia uscì dal bagno sorprendendolo con il pugno a mezz’aria.
Si guardarono un istante senza dire nulla. I capelli arruffati di lei e il trucco scolato la rendevano ancora più bella e fragile. Sembrava una creatura smarrita finita nella casa dell’orco e Giorgio senti lo stomaco stringersi al pensiero che quell’orco era lui.
Raccolse il coraggio per parlare e sottovoce le disse solo
“mi dispiace, non devi andare via così”
Lo sguardo fiero e arrossato che lei gli restituì fu come uno schiaffo in pieno viso.
“So capire quando è il momento di andarsene. Non devi scusarti. Siamo due persone adulte che hanno scopato. Sai che novità. Non preoccuparti, domani sarà dimenticato. Ora ti prego, fammi passare.”
Detto questo lo allontanò con un braccio, uscì dal bagno e raccolte le sue cose chiuse la porta di casa alle sue spalle.
Giorgio si sedette per terra con lo sguardo fisso sulla porta e la testa tra le mani e improvvisamente sentì che aveva bisogno di Chiara. Lei l’avrebbe sicuramente insultato ma non gli importava, aveva bisogno di lei.
Si alzò di scatto e corse in camera. Infilò una felpa e le sue scarpe da tennis consumate. Raccolse da terra il suo cappotto, lo indossò e si ributtò per strada sorprendendosi a correre verso casa di lei, come se vederla fosse un’urgenza impellente.












20 commenti:

  1. Eccomi qui.
    Ma è finito in questo modo o continua?
    Pensavo che quando Giorgio si era portato la collega a casa... Laura fosse tornata dalla sua vacanza di un anno XD

    In ogni caso, ben scritto e scorrevole, forse un paio di ripetizioni ma è questione di stile, nulla da dire sulla grammatica, brava!
    Unica cosa: mi sa che per un paio di righe hai chiamato Chiara col nome sbagliato, ossia Laura... :)

    Moz-

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  2. oddio può essere.. l'ho lasciato e ripreso tante volte..
    no non è finito..devo capire come continua.
    grazie per averlo letto :) e grazie per il commento :)

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    1. E di che :)

      Comunque, davvero, ti immagini Giorgio si portava la segretaria a casa e in quel momento era tornata anche Laura? Woow! Scintille!

      Moz-

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    2. effettivamente... devo pensarci su :)

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    3. ho corretto la confusione di nomi :) :)

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  3. Ehm.. ciao.. poi, mi dici com'è che sai la mia storia?
    Bellissimo, brava.

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  4. ps mi dici come finisce che io ancora non lo so? :)

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    1. Male. Malissimo.
      (ma il mio non era esattamente single)

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  5. si, poi ci dici come finisce? sono curiosa sia di leggere il tuo racconto che di conoscere il lieto fine della mia piccola Emme.
    Mi piace, il tormento di Giorgio è così vivo che quasi lo si sente nello stomaco...

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    1. oddio grazie... davvero.. sono felice di essere riuscita a trasmetterlo. A me sembra sempre una gran ciofeca quello che scrivo. Mi sta tornando la voglia di mettermi d'impegno :)

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    2. Continua, scrivi. Sia per te che per noi ;)

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  6. leggerlo è semplice.
    mi ha fatto piacere leggerlo ed è anche ben scritto.

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  7. Bellissimo, scorrevole e veloce.
    Attendo ansiosa il seguito ;)

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